In Nudarsi, di Rita Felerico, poesia e racconto convergono, defluiscono, si fondono; nel riprodurre, in parole, la vita che è stata. In un susseguirsi incessante di battute, che pulsano come battiti, tornano a galla l’infanzia, con il “profumo di basilico nel pomodoro” arrossato di sole, che cuoce lento nella pentola e che viene rimestato dalla “cucchiaia di legno nelle luminose domeniche estive”; con i suoi sogni di bellezza, le sue “mai rimarginate ferite”, “il profumo dei bucati di cenere”, “il frastuono della cucina di bianche mattonelle”, i volti delle zie, della nonna, le voci, le grida, i canti. E poi l’amore, che ferito, torna ad arroventare il cuore; mentre la poeta, nel ricordare, argina le alterazioni con cui il dolore, che sembra volerle “derubare l’esistere”, fruga in quello che è stato. E poi ancora, i luoghi a cui si appartiene e quelli che non si riesce ad abitare. La nostalgia. Il desiderio. I noi svaniti, vanificati e quelli, invece, inestirpabili. Le cose che restano e quelle che non possono tenersi.
Le parole della poeta, infatti, sono i segni di un ritornare-su che è scoperta di sé, a ritroso. Tornare-su per riportare alla luce “quello che non si deve dimenticare, per continuare” a vivere, con tutta la “cocciutaggine del voler vivere”.
Nel libro altre lingue affiancano l’italiano; lingue che, come in un coro, condividono gli stessi significati da intonazioni differenti: come a provare che la vita è in ognuno diversa, ma risuona in tutti allo stesso modo. Mentre i disegni di Aldo Capasso ampliano, amplificano il senso di una memoria che torna, per dare motivo alla vita di andare avanti.