Napoli – Un grande lenzuolo giallo di Greenpeace appeso all’isolotto davanti alla Gaiola, con la scritta enorme “Basta Scarichi” e un grande gabinetto a simboleggiare chiaramente cosa non si deve sversare nell’area protetta della Gaiola.
E’ così che Greenpeace si è unita questa mattina alla battaglia dei gestori dell’area Marina Protetta della Gaiola, che secondo il piano del Comune di Napoli dovrebbe ospitare un secondo scarico diretto in caso di maltempo e forte pioggia in mare direttamente dalle case di Posillipo.
L’area protesta da tempo e ha fatto ricorso, aspettando la decisione del Tar e sperando in uno stop al progetto del Comune di Napoli con i fondi del Pnrr.
“La Gaiola – spiega all’ANSA Valentina di Miccoli di Greenpeace – è un caso emblematico di come vengono trattate le aree marine protette in Italia. Ci stupisce che nell’area marina protetta, nella zona speciale di conservazione, ci sia già uno scarico e il ministero abbia fatto passare una valutazione di impatto ambientale per raddoppiarlo, nell’ambito della riqualificazione di Bagnoli. Un progetto che vede tante belle attività ecologiche a terra ma che non ha considerato per niente l’ambiente marino. Questo rispecchia un po’ la consuetudine da parte del nostro Governo su come trattare il mare. Basti pensare che ai parchi terrestri vengono donati dall’Italia 80 milioni di euro l’anno e per tutte le aree marine protette solo 8 milioni, questo grande gap è tra due realtà entrambe importanti per la tutela della biodiversità”. Alla Gaiola oggi tanti bagnanti a godersi il sole e il mare splendente, ma resta la paura che l’area si inquini e si aspetta la decisione del Tar attesa per settembre in un Paese che affronta una scarsa protezione delle aree marine come spiega la rappresentante di Greenpeace che ha anche esposto uno striscione con la scritta “Le Aree Marine Protette non sono una fogna”: “In Italia – spiega – proteggiamo meno dell’1% della superficie dei nostri mari, mentre la comunità scientifica al forum di Nizza nei giorni scorsi ha detto che per evitare il collasso della biodiversità dobbiamo proteggere almeno il 30% di mari e oceani entro il 2030.
L’Italia aveva una grande occasione, ha firmato ma non ha ratificato questo trattato perché non era pronta e quindi ci sono 50 Paesi favorevoli ma ce ne vogliono 60. Questo spiega come viene trattato il mare in Italia”.
Greenpeace appoggia l’impegno di Maurizio Simeone, direttore dell’area marina protetta di Gaiola che spiega come “con il piano di Bagnoli ci aspettavamo che eliminassero il primo scarico che c’è da anni e invece vogliono raddoppiarlo. Sarebbe folle e oggi noi e le tante associazioni impegnate a fermare il progetto c’è anche Greenpeace. La speranza è che rispetto a venti anni fa la gente abbia preso coscienza del problema inquinamento e che oggi lottino tutti per salvare il proprio mare. Poi vedremo cosa decidere al TAR e noi insieme a loro continueremo a tentare soprattutto di informare i cittadini e le istituzioni sui gravi rischi di questo progetto: l’appello è di fermarsi, ora siamo ancora in tempo nel non andare avanti con questo progetto che pregiudicherà il futuro del nostro mare e delle generazioni future”. Simeone ricorda che “ci sia un ravvedimento politico – spiega – perché come mostra ora la questione della Coppa America quando si vogliono rivedere i progetti si può sempre fare. Non si capisce perché per la Coppa America si può rivedere un progetto in corso e per gli scarichi a mare no. La mobilitazione c’è stata anche con la consigliera regionale Roberta Gaeta e tutto il Consiglio regionale ha votato contro il progetto, con un segnale forte, però le cose non sono cambiate. Bisognerebbe ascoltare un po’ più la cittadinanza, i tecnici, gli scienziati”.
Fonte: Ansa.it