Scegliere di lavorare con le parole, con la scrittura e con le immagini, significa anche denunciare la rabbia, le oppressioni e le ingiustizie facendone un dovere morale, una propria responsabilità, perché senti di avere dentro di te il dono di farti portavoce, di ampliare la voce dei più deboli, di chi ha paura, di chi non riesce ad esprimersi o di chi non ce la fa. Nei paesi in cui la dittatura regna sovrana, in cui il tiranno è lì in agguato pronto a toglierti tutto, se il tuo pensiero viaggia controcorrente, la paura diventa un vincolo e obbedire è l’unica soluzione alla sopravvivenza.
Giornalisti, scrittori, registi, chi vive di arte e di immaginazione, così come anche i comici, che con la loro satira cercano una chiave di lettura per far riflettere, per smuovere le cosiddette coscienze, finiscono nel mirino della tirannia. Piccole minoranze di coraggiosi e audaci pensieri, troppo scomodi per chi decide di comandare un popolo che deve solo obbedire e mai riflettere. Successe in Afghanistan lo scorso anno quando i talebani entrarono a Kabul, i primi ad essere arrestati, castigati e umiliati furono i giornalisti perché denunciare al mondo l’ingiusto assalto in un paese in via di emancipazione non permetteva di alimentare le loro leggi selvagge, il loro potere sulle donne e sulle vite di tutti gli altri. Così le parole, o meglio, le battute di Khasha Zwan, il comico che morì ridendo in faccia ai Talebani, furono una minaccia più dei loro Kalashnikov al punto di negargli la vita.
Una risata che spaventa più delle armi, mette i brividi e fa pensare, come scrisse anche Roberto Saviano in un suo post su instagram “Khasha Zwan è morto facendo battute, sorridendo in faccia ai suoi aguzzini, con la potenza anarchica dell’ironia spesa sino alla fine”.
Questa volta è toccato all’Iran e ad essere arrestati sono stati i registi cinematografici, Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahmad, che hanno osato unirsi alle proteste contro il paese, utilizzando sui loro canali social l’hashtag, diventato virale, #put_your_gun_down, con il quale facevano riferimento al crollo di una palazzina ad Abadan, cittadina situata 600 km a sud di Teheran, che ha causato la morte di più di 31 persone e aperto molti dubbi sulla scarsità dei materiali edilizi usati. A seguito di questo crollo ci sono state molte manifestazioni che la polizia ha cercato di sedare. L’utilizzo dell’hashtag da parte dei cineasti ha causato il loro arresto, con l’accusa di propaganda sovversiva. Lunedì scorso il terzo arresto toccato al regista, Jafar Panahi, “arrestato dopo essersi recato alla procura di Teheran per avere aggiornamenti sul caso di un altro regista”, come ha riferito l’agenzia di stampa iraniana Mehr. Il regista fu già arrestato nel 2010 per “propaganda contro il sistema” a cui fu impedito sia di dirigere film che di scrivere sceneggiature, e anche di lasciare il paese ma nonostante tutto ha continuato a vivere e lavorare in Iran.
Nel mondo del cinema molte sono state le manifestazioni di solidarietà nei confronti dei registi iraniani, arrestati ingiustamente, anche la Biennale di Venezia ha unito la propria voce chiedendo la liberazione immediata dei cineasti.
Nel frattempo in Iran continuano anche le proteste contro l’aumento dei prezzi dei generi alimentari essenziali, come riso, pasta, pane, olio, carne e uova.
Mentre l’Italia accoglie con grande entusiasmo il Ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian.